Distrutti dopo il divorzio?
La separazione non c’entra
Uno studio americano rivela: il dolore per una storia finita non riguarda la perdita del coniuge o i timori per il futuro, ma la capacita perduta durante il matrimonio di amare se stessi di SARA FICOCELLI
Diceva Marlene Dietrich che “quando l’amore è finito, gli alimenti colmano il vuoto”. Di separazioni la femme fatale ne sapeva qualcosa, ma un conto è lasciare Ernest Hemingway per Jean Gabin e un altro è separarsi da comuni mortali, magari con figli piccoli e un mutuo da pagare. Il divorzio è sempre un momento difficile da affrontare sia sul piano pratico che psicologico, ma non tutti lo vivono allo stesso modo. C’è chi supera il trauma dopo qualche mese, chi si lascia tutto alle spalle all’istante, chi impazzisce di rabbia e chi va in depressione e non riesce più a rifarsi una vita.
Lo psicologo David A. Sbarra dell’università dell’Arizona, con i colleghi Hillary L. Smith e Matthias R. Mehl, ha studiato le dinamiche psicologiche dei divorziati e le differenti capacità di reazione, concludendo che, al di là della situazione specifica, tutto dipende dal livello di “self compassion” di ognuno. In altre parole, più si è indulgenti e generosi con se stessi, meglio si affronterà il dolore.
Lo studio è stato pubblicato su Psychological Science, la rivista dell’associazione psicologica americana, e dimostra una cosa solo apparentemente scontata: a dilaniare, durante una separazione, non è la perdita del coniuge o la consapevolezza degli sforzi economici che si dovranno affrontare, ma l’incapacità di perdonarsi e lasciarsi scivolare addosso le cose. Abituate a preoccuparsi dell’altro e della famiglia, molte persone dimenticano come si fa a volersi bene, pretendono da sé la perfezione e si addossano, al momento di divorziare, colpe che non hanno. I più fortunati non sono gli egoisti, ma coloro che hanno a cuore la propria persona non meno di quella altrui. “L’autocompassione – spiega Sbarra – può promuovere la resilienza, ovvero la capacità dell’uomo di affrontare e superare le avversità della vita, di superarle e di uscirne rinforzato e addirittura trasformato positivamente”.
La ricerca ha coinvolto 105 quarantenni, di cui 38 uomini e 67 donne, sposati da più di 13 anni e divorziati da tre o quattro mesi. A tutti è stato chiesto di parlare dell’ex coniuge per 30 secondi e poi per 4 minuti dei propri sentimenti riguardo alla separazione. Misurando il livello di self-compassion con rilevatori audio che decifrano le implicazioni psicologiche dei costrutti delle frasi e intervistando nuovamente i volontari dopo tre e sei mesi, gli studiosi hanno rilevato che chi era capace di auto-compassione affrontava meglio il trauma del divorzio, mentre chi era abitualmente duro con sé stesso soffriva di più. “Non è semplice chiedere a qualcuno di essere meno ansioso. Non si cambia personalità così facilmente – continua Sbarra – ma è possibile modificare atteggiamento a poco a poco grazie all’esperienza. In questo, le donne sono molto più in gamba degli uomini”.
Secondo gli ultimi dati Istat (luglio 2011), nel 2009 ci sono state in Italia 85.945 separazioni e 54.465 divorzi. Un dato frutto di una crescita esponenziale nel corso degli ultimi 15 anni (nel 1995 ogni 100 matrimoni c’erano 158 separazioni e 80 divorzi, nel 2009, sempre ogni 100 unioni, 297 separazioni e 181 divorzi) e, secondo Fausto Manara, docente di Psicoterapia presso la Scuola di specializzazione in Psichiatria e vicepresidente della Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica, motivato da una presa di coscienza sempre più disincantata dei rapporti. “Le coppie oggi si sposano sapendo benissimo a cosa vanno incontro – spiega lo psichiatra autore di “Amici, nemici, amanti possibili” (Sperling & Kupfer, 2011, 240 pag.) – e quindi quando capiscono che la cosa non va sono pronti a chiudere”.
Secondo l’esperto, la capacità di reazione di ognuno di fronte a una fase simile della vita dipende innanzitutto dai motivi che hanno portato al divorzio, dall’averlo promosso o subìto. “Poi – spiega – dalla lealtà nella fase di separazione, o dai rancori che l’hanno accompagnata e, ancora, dalla capacità di progettarsi come individui indipendenti. Infine, dalle caratteristiche di personalità”. Per quanto affrontato egregiamente, un divorzio suscita sempre, precisa Manara, sensazioni di perdita e di fallimento, anche quando sembra prevalere un sentimento di liberazione. E non è detto che il gentil sesso sia più forte di quello maschile. “Le donne sanno affrontare le questioni pratiche della vita con maggiore indipendenza – conclude – e questo le può facilitare. Ma gli uomini hanno maggiore facilità a trovare “premi di consolazione” per alleviare il dolore della perdita”.
(25 settembre 2011)